
Friuli Venezia Giulia fanalino di coda in Italia. Al netto della propaganda è decrescita infelice
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L’Osservatorio socioeconomico RilanciaFriuli ha presentato oggi a Udine, nella sede della Regione, un report trimestrale dal titolo “Perché il Fvg è fermo e come ripartire”, che delinea un quadro socio-economico preoccupante per la regione, evidenziando una stagnazione prolungata e la necessità urgente di interventi mirati per invertire la rotta.
Il report è stato illustrato da Fulvio Mattioni, economista di RilanciaFriuli: “Dopo vent’anni di crescita pressoché nulla, il Friuli-Venezia Giulia rischia di rimanere intrappolato in una stagnazione strutturale – ha sottolineato Mattioni -. Dal 2002 al 2023 il Pil della regione è rimasto in “ibernazione”: la crescita è stata appena dello 0,7%, contro il +12,3% del Nordest e il +7,4% dell’Italia. Ancora peggio nel periodo 2008-2023, di vera decrescita, con una contrazione del -3,6%, fanalino di coda, in particolare rispetto al Mezzogiorno. Nell’ultima legislatura (2019-2023), il Fvg ha registrato un timido +3,4%, 15° su 20
regioni. Le stime 2023-2026 non sono più incoraggianti: +1% cumulato, contro un +2,8% italiano”.
L’export, che vale il 10% del Pil regionale, si è fermato. Al netto della cantieristica navale, il valore delle esportazioni
manifatturiere è sceso tra il 2023 e il 2024 di oltre un miliardo di euro. “A mancare è una vera politica industriale: l’Agenda
Manifattura 2030 è ancora solo sulla carta”.
“Nel 2024 solo il 13,5% dei contratti attivati è a tempo indeterminato, mentre oltre il 70% è composto da contratti a
termine, intermittenti o in somministrazione. L’Inps parla di “mercato del lavoro”, ma i numeri dicono “precariato diffuso”.
Ogni anno il saldo dei contratti stabili è negativo per circa 15.000 unità”, si legge ancora nel comunicato.
“Il calo delle persone in età lavorativa è netto: meno 58.000 dal 2002, e ne perderemo altre 47.000 entro il 2034. Intanto la
popolazione over 64 è aumentata del 50%. Le nascite sono crollate del 34,5%, e gli immigrati non compensano. Servono politiche per attrarre lavoratori e non far fuggire i giovani, altrimenti il sistema economico e il welfare collasseranno”.
Le presenze turistiche sono cresciute (+10,2% dal 2002), trainate da Trieste (+123%), ma il settore rappresenta solo una frazione del valore economico regionale. E il Fvg pesa appena il 2,2% sul turismo nazionale, contro il 38,9% del Nordest. “Competere con Trentino, Veneto ed Emilia richiede più che spot promozionali”.
Cosa fare? “Prendere coscienza della “decrescita infelice” del Friuli, che non è frutto di shock improvvisi, ma di un declino
silenzioso e persistente, come accadde dopo il sisma del ’76 – ha osservato Fulvio Mattioni, economista di RilanciaFriuli, che ha illustrato il report -. Un investimento straordinario di 500 milioni di euro, da destinare al rilancio industriale (zone
produttive, attrazione imprese), politiche di accoglienza e inserimento per immigrati economici, welfare per anziani,
contrasto allo spopolamento dei piccoli comuni e valorizzazione dei giovani diplomati e laureati. Il Friuli ha bisogno di un vero risveglio collettivo. La prossima occasione è nelle imminenti variazioni di bilancio. La scelta è tra un lento declino o una ripartenza consapevole”.