
Ucciso, fatto a pezzi. E ora anche diffamato: da morto non può difendersi
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Alessandro Venier è stato ucciso. Non in senso metaforico. È stato letteralmente ucciso, nella casa dove viveva con la madre e la compagna. Poi fatto a pezzi, chiuso in un bidone e coperto di calce viva.
Ora però sta succedendo qualcos’altro. Qualcosa che non fa notizia nei titoli dei telegiornali ma che lascia un segno altrettanto violento: la sua reputazione viene distrutta, pezzo dopo pezzo, proprio come il suo corpo.
Il collezionista “pericoloso”
In questi giorni, molti articoli si sono concentrati su un dettaglio: collezionava residuati bellici della Seconda guerra mondiale.
La frase è sempre la stessa:
“Li teneva nella casa dove viveva anche la neonata”.
Così, senza dire se fossero pericolosi davvero, se fossero armi disinnescate, se la sua attività fosse illegale.
È il classico modo per spostare il lettore dal fatto principale — un omicidio brutale — e insinuare che forse, in fondo, quella casa non fosse un posto sicuro. E che forse, in fondo, lui non fosse un uomo del tutto innocente.
Il sogno colombiano trasformato in sospetto
Alessandro voleva trasferirsi in Colombia. Aveva un amico con un’azienda agricola. Il sogno? Una nuova vita, magari coltivare banane su un pezzo di terra.
Ma nei giornali diventa:
“Aveva affari non chiariti in Colombia”
“O forse anche altro”
Insinuazioni. Nessun fatto. Solo parole che insinuano qualcosa di losco. Qualcosa che non viene detto, ma che il lettore è libero di immaginare. E a quel punto, l’immaginazione fa il lavoro sporco.
“Era noto alle forze dell’ordine”: cioè?
Un’altra frase che si legge ovunque:
“Era noto alle forze dell’ordine”.
Ma che vuol dire? Noto come? Per cosa? Non c’è scritto. Non serve. È solo una frase lasciata lì per generare dubbio, per ammiccare al lettore:
“Fidati, non era uno stinco di santo”.
L’alibi della bambina
Nel frattempo, si parla molto della bambina. La figlia di Mailyn, la nipote di Lorena Venier. Le due donne accusate (una ha già confessato) sembrano avvolte da un’aura protettiva.
Lorena dice di aver agito anche pensando alla bambina, che “non poteva crescere in quel clima”. Ma quale clima? Violento? Tossico? Qualcosa di concreto o solo una narrazione utile?
Ecco allora che, oltre al corpo di Alessandro, si smembra anche la sua identità. Si fa passare per pericoloso, ambiguo, magari violento. Tutto con mezze parole, voci di paese, insinuazioni non verificate.
Difendere chi non può più difendersi
Alessandro Venier non può rispondere. È morto. In modo atroce.
E allora mi chiedo: com’è possibile che, mentre si indaga su chi lo ha ucciso, si stia riscrivendo chi era lui?
Com’è possibile che un uomo ucciso venga anche colpito nella memoria?
Non sto dicendo che fosse perfetto. Nessuno lo è. Ma tra il raccontare una verità e seminare dubbi senza fondamento, c’è una responsabilità enorme. Specialmente da parte della stampa.
Chi muore così merita almeno una cosa: non essere ucciso anche una seconda volta.