
Temperature autunnali. Il surriscaldamento globale va in ferie
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A leggere le prime pagine di giornali e siti web a fine giugno, sembrava che l’estate 2025 fosse destinata a passare alla storia come la più calda di sempre. “Città roventi”, “clima fuori controllo”, “l’estate più calda dell’umanità”: i titoli si rincorrevano a suon di superlativi, con l’immancabile timbro “scientifico” di Copernicus e affini a dare autorevolezza alla previsione.
E in effetti i dati di giugno parlavano chiaro: temperature medie globali da record, anomalie termiche significative su scala europea, in particolare nel bacino del Mediterraneo. In Italia, alcune località hanno toccato i 38-40 °C ben prima di luglio.
Poi è arrivato agosto.
E, con lui, l’anticiclone delle Azzorre — quello “vecchia maniera”, più portato per la stabilità che per le fiammate nordafricane. Risultato? Massime tra i 25 e i 31 °C su gran parte del territorio, minime a tratti “frizzanti”, ventilazione diffusa, e in alcune zone anche giacche leggere al mattino. Cioè, esattamente il tipo di estate che ci si augura durante una vacanza mediterranea. Non “l’estate più calda della storia”, ma piuttosto un’estate da cartolina anni ’80.
In Europa centrale va ancora peggio (o meglio, a seconda dei punti di vista): in Germania, Olanda e Danimarca si segnalano massime diurne intorno ai 18-20 °C e riscaldamenti domestici riaccesi in alcune aree. Altro che tropicalizzazione.
Il problema, però, non è meteorologico. È narrativo.
Negli ultimi anni, la comunicazione climatica ha preso una piega sempre più emotiva, a tratti apocalittica. Ogni estate deve battere la precedente, ogni mese deve segnare un nuovo record. Le eccezioni (quando fa fresco) passano in sordina, o vengono spiegate con acrobazie retoriche: “è proprio il riscaldamento globale a causare anche il freddo”, si sente spesso dire.
Così, mentre i cittadini vivono un agosto decisamente gradevole, l’informazione meteorologico-climatica continua a muoversi su binari automatici, dove il racconto ha preso il sopravvento sulla realtà. E quando la narrazione si scontra con l’esperienza quotidiana — con la felpa tirata fuori a sorpresa o l’aria condizionata rimasta spenta — il risultato è l’effetto contrario: scetticismo, disaffezione, discredito anche verso chi, con serietà, studia i fenomeni climatici su scala globale.
Nessuno nega il trend di lungo periodo. Nessuno pretende che il cambiamento climatico venga messo in discussione da una settimana di temperature sotto media. Ma forse è il caso di riportare il dibattito climatico su binari più equilibrati, meno sensazionalistici.
Perché se davvero il riscaldamento globale è un tema serio — e lo è — allora merita di essere comunicato con serietà. Non come se fosse la sceneggiatura di una fiction estiva.