
Alessandro Venier ucciso, fatto a pezzi e coperto nel calcestruzzo dalla compagna e dalla madre
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Alessandro Venier, 35 anni, è stato ucciso, fatto a pezzi e nascosto in un bidone nella cantina della casa dove viveva con la madre, la compagna e una bambina di appena sei mesi. Il suo corpo è stato ritrovato questa mattina a Gemona del Friuli. Ad ammettere l’omicidio sono state proprio le due donne: la madre e la compagna, una 30enne colombiana.
I dettagli del delitto sono agghiaccianti. Il cadavere dell’uomo è stato sezionato, cosparso di calce viva per mascherare l’odore e occultato nella cantina. Eppure, nonostante la brutalità del gesto, non si parla di “maschicidio”, non ci sono titoli indignati, nessun corteo si preannuncia a denunciare la violenza contro gli uomini. Nessuna trasmissione televisiva speciale. Nessuna mobilitazione, nessun appello, nessun hashtag.
Se a parti invertite fosse stato un uomo ad uccidere e smembrare la propria compagna, l’intera opinione pubblica si sarebbe già sollevata, si parlerebbe di emergenza femminicidio, e scatterebbe l’applicazione della nuova norma che prevede l’ergastolo automatico per chi uccide una donna in un contesto relazionale. Ma in questo caso, poiché la vittima è un uomo, quella norma non si applicherà. Nessun automatismo, nessuna aggravante speciale, nessun riflettore acceso.
Anzi, come spesso accade in casi simili, ci si può attendere che inizino le giustificazioni. Si cercherà di umanizzare le assassine, di attribuire loro motivazioni psicologiche, drammi personali o circostanze attenuanti. Si parlerà, come già accaduto in passato, di “madri esasperate”, “compagne in difficoltà”, magari di “rapporti tesi” o “situazioni familiari complesse”.
Intanto, resta la realtà: un uomo ucciso, smembrato e nascosto da due donne con cui divideva la vita e la casa. Un uomo, un padre, vittima di una violenza estrema che, sebbene innegabile, rischia di essere rapidamente sminuita o addirittura dimenticata, perché non rientra nello schema narrativo dominante.
Le indagini sono affidate ai Carabinieri e coordinate dalla Procura di Udine. Ma sul piano mediatico e culturale, la giustizia, da molto tempo, ha già preso una piega diversa.