
Bambini online, genitori offline: i danni del finto progresso. Il 51% dei bambini friulani ha uno smartphone a 10 anni
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A dieci anni, oltre metà dei bambini friulani possiede già uno smartphone personale. Tablet e smartwatch non sono da meno. Così, mentre certi genitori radical-chic postano storie su Instagram inneggiando al “bambino 4.0” e si autoconvincono di crescere piccoli Steve Jobs, la realtà racconta ben altro: un’infanzia consegnata prematuramente a uno schermo.
È questo il quadro inquietante emerso dal primo incontro della rassegna Homo Sapiens Digitalis, grazie ai dati raccolti dall’indagine “Bambini e schermi digitali 2025” su un campione di 512 alunni di quinta elementare del Friuli Venezia Giulia. Numeri che sembrano inchiodare una generazione di genitori più attenti al design dell’ultima cover ecosostenibile che alla salute mentale dei propri figli.
Il 51% dei bambini ha già uno smartphone, il 48% un tablet, il 46% uno smartwatch. Nonostante WhatsApp e TikTok richiedano un’età minima di 13 anni, il 66% dei bambini li usa regolarmente. Ma guai a parlarne con mamma e papà: ti rispondono che “la tecnologia è il futuro” e che “proibire è da retrogradi”.
Dietro a questa ostentata apertura mentale si nasconde però un inquietante vuoto educativo. Solo il 36% dei bambini afferma che i genitori controllano regolarmente ciò che guardano online. Il resto? Liberi di vagare tra contenuti inadatti, messaggi da sconosciuti (che ricevono in quasi 4 casi su 10) e immagini spaventose che turbano più dell’ora di grammatica.
E i parental control? Attivati nel 17% dei casi. Ma d’altra parte, si sa: certi genitori progressisti hanno smesso di dire “no” perché lo ritengono un’imposizione arcaica. Meglio delegare tutto a un algoritmo, mentre loro sorseggiano vino biodinamico discutendo di “etica dell’intelligenza artificiale”.
L’indagine svela anche un paradosso educativo: solo il 10% degli alunni ha imparato a usare i dispositivi a scuola, e un terzo non ha nessuno che lo accompagni in questo percorso. Ma intanto quasi tutti usano la tecnologia per studiare. O per meglio dire: per farsi fare i compiti dalle app IA, come già fa il 55% dei bambini.
Altro dato rivelatore: il 45% dei bambini incontra raramente o mai i propri amici fuori da scuola. Non c’è tempo per il parco: c’è da finire la partita su Roblox o rispondere al bot che fa compagnia nei momenti di noia. In fondo, per molti adulti digitalmente “avanzati”, anche l’amicizia è solo una funzione da ottimizzare.
È chiaro: quello che viene sbandierato come “progresso” è spesso solo deresponsabilizzazione. La tecnologia non è il problema: il problema è l’uso che se ne fa. E soprattutto il fatto che troppi genitori, impegnati a inseguire l’ultima tendenza tech come se fosse una medaglia culturale, stanno crescendo bambini iperconnessi ma soli, esperti di app ma analfabeti emotivi, digitalmente autonomi ma educativamente abbandonati.
Prossimi appuntamenti del ciclo Homo Sapiens Digitalis a Udine affronteranno temi cruciali come salute mentale ed educazione. Sperando che tra il pubblico ci siano anche quei genitori che hanno scambiato il tablet per un’educatrice e l’IA per una tata.