
Bionda, bianca, occhi azzurri: spot accusato di razzismo
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Nel 2025, negli Stati Uniti e ancora più in Italia, l’identità bianca, europea, occidentale è diventata bersaglio di una nuova forma di discriminazione, paradossale ma sempre più evidente. Lo dimostra l’ennesimo caso mediatico: la pubblicità di American Eagle con protagonista Sydney Sweeney, attrice bionda, bianca, occhi azzurri, è stata travolta da accuse grottesche di razzismo e suprematismo per un banale gioco di parole tra jeans e genes. Nulla di nuovo se non fosse per la ferocia con cui la cultura woke ha reagito.
Sydney Sweeney incarna un ideale estetico tradizionalmente occidentale. E questo, oggi, basta per essere colpevoli: colpevoli di esistere, di ricordare (involontariamente) che un tempo l’Occidente aveva modelli culturali, estetici e sociali che si rifacevano alla propria storia, al proprio patrimonio. La bellezza nordica non è più un canone ma una provocazione, qualcosa da censurare o ridicolizzare. A quanto pare, essere nati bianchi è una colpa in sé.
La cultura woke, nata con l’intento (sulla carta) di difendere i diritti delle minoranze, si è trasformata in una ideologia che attacca sistematicamente tutto ciò che è radicato nella tradizione occidentale. Il risultato? Chiunque esprima un’estetica, una visione o anche solo una presenza riconducibile all’Europa storica, cristiana, bianca, viene subito associato a concetti come suprematismo, colonialismo, o peggio ancora: nazismo. È un corto circuito culturale, dove la difesa delle differenze si trasforma in odio per la propria origine.
In Italia questa tendenza sta avanzando in modo subdolo ma implacabile. Le radici culturali italiane – latine, greche, cristiane – vengono progressivamente silenziate, irrise o reinterpretate attraverso una lente ideologica che punta a decostruire, a dissolvere l’identità. Tradizione, famiglia, appartenenza nazionale: tutto è sospetto. Chi osa dirsi fiero di essere italiano o europeo viene spesso etichettato come reazionario, retrogrado, “non inclusivo”.
Sotto il pretesto dell’inclusività, si sta cancellando tutto ciò che definisce la nostra civiltà. Non si celebra più la bellezza dell’arte rinascimentale, ma la si mette sotto processo perché “troppo bianca”. Non si studia più Dante senza chiedere scusa per il contesto in cui è vissuto. Non si può più proporre un ideale estetico che rispecchi le caratteristiche storiche del continente europeo senza essere tacciati di discriminazione.
Nel mondo woke, l’inclusione non significa più accogliere, ma sostituire. Sostituire valori, simboli, persino corpi. E se in America si litiga per uno spot di jeans perché l’attrice ha gli occhi azzurri, in Italia si fa il possibile per annullare l’identità di un popolo intero, colpevole solo di avere una storia, una cultura e un volto riconoscibili.
Ma se non si può nemmeno dire che “i miei jeans sono blu” senza finire sotto accusa, allora è il momento di svegliarsi. Perché il vero pericolo non è il passato, ma il presente che lo vuole distruggere.