La legge Meloni-Schlein sul femminicidio. Ergastolo automatico solo per gli uomini

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L’Italia ha approvato all’unanimità una legge che introduce il reato di femminicidio come figura autonoma nel codice penale, con una pena automatica: l’ergastolo. Una norma fortemente voluta tanto dal governo di Giorgia Meloni, quanto dall’opposizione guidata da Elly Schlein. Destra e sinistra, unite da una battaglia trasversale che ha un obiettivo dichiarato – combattere la violenza sulle donne – ma che, nei fatti, scardina uno dei principi fondamentali della Costituzione: l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

Un consenso unanime, ma inquietante

Il disegno di legge, presentato dal governo Meloni e approvato in Consiglio dei ministri il 7 marzo 2025, è stato poi votato all’unanimità in Parlamento.
La presidente del Consiglio ha espresso soddisfazione:

«L’Italia è tra le prime nazioni a percorrere questa strada, che siamo convinti possa contribuire a combattere una piaga intollerabile».

Anche Elly Schlein, leader dell’opposizione, ha rivendicato con orgoglio il proprio contributo alla legge:

«Abbiamo dato un contributo nel merito, migliorando il testo […] passando per la tutela degli orfani di femminicidio, alla formazione dei magistrati».

Ma la domanda scomoda rimane: com’è possibile che un Parlamento intero, senza distinzione ideologica, approvi una norma che istituisce un trattamento penale differenziato in base al sesso della vittima?

Il comma contestato: ergastolo automatico solo se la vittima è donna

Il cuore della legge è l’introduzione dell’articolo 577-bis del codice penale. Questo il testo:

«Articolo 577-bis. – (Femminicidio)Chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo».

La pena è automatica. Non prevede gradazioni, né bilanciamenti. E soprattutto: vale solo se la vittima è una donna.

Una norma che ignora l’articolo 3 della Costituzione

Eppure, l’articolo 3 della Costituzione è chiarissimo:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso […]»

Come può una norma penale stabilire una punizione automatica solo sulla base del genere della vittima? Che valore ha, in uno Stato di diritto, una norma che decide implicitamente che l’uccisione di una donna è più grave di quella di un uomo?

Il principio è pericoloso non solo sul piano giuridico, ma anche su quello morale: stabilisce quali vite meritino maggiore protezione dallo Stato, e quali no.

Il caso Venier: una morte che “non vale” come femminicidio

Prendiamo un caso recentissimo: Alessandro Venier, ucciso il 25 luglio 2025 dalla madre e dalla compagna, perché voleva partire per la Colombia portando con sé la figlia.
Una decisione autonoma, sgradita alle due donne. Una reazione violenta, pianificata: sedato, soffocato, strangolato, fatto a pezzi.

Quel delitto, se la vittima fosse stata una donna, ricadrebbe perfettamente nei criteri dell’articolo 577-bis:

  • Punizione per l’esercizio della libertà personale

  • Repressione dell’espressione della personalità

  • Delitto fondato su dinamiche relazionali e affettive

Eppure, Alessandro era un uomo. E quindi, secondo questa legge, non è femminicidio. Non merita ergastolo automatico. Non rientra nella “piaga intollerabile” che il governo e l’opposizione hanno voluto combattere.

Non è un caso isolato: esistono anche i maschicidi

Il caso Venier non è un’eccezione. Ci sono decine di uomini uccisi in contesti familiari o relazionali: per gelosia, per denaro, per vendetta. Delitti che, invertiti di genere, sarebbero definiti “femminicidi”. Ma che, così come sono, non godono della stessa attenzione né dello stesso peso penale.

In fondo, questa legge non definisce meglio un crimine: definisce meglio chi merita giustizia.

Il politicamente corretto, da sinistra a destra

Il dato più inquietante non è solo il contenuto della norma, ma il consenso bipartisan con cui è passata. Nessun voto contrario. Nessuna vera obiezione. Nessun dibattito pubblico sull’evidente violazione del principio di uguaglianza.
Un segnale chiaro: il “politicamente corretto” ha vinto su tutta la linea. Non solo nei linguaggi, ma ora anche nel diritto penale.

Una legge che decide quale morte è più grave, quale vittima merita più Stato, quale genere deve essere protetto a prescindere. È questo il nuovo criterio della giustizia?

Giovanni Dalle Bande Nere

Guerrigliero della penna

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Nato da un'intuizione del dott. Stefano Salmè, il Giornale del Friuli si pone la missione di valorizzare la storia bimillenaria del Friuli e, nel contempo, raccontare la contemporaneità con un'informazione libera e controcorrente. Stefano Salmè è iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2002 e si è laureato con lode in Storia, all'Università di Trieste, con una tesi sul Risorgimento friulano.

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